Le periferie sono luoghi dove si sperimenta, si innova, si costruiscono nuovi legami tra persone, spazi e istituzioni. In tutta Europa — dai Community Land Trust di Bruxelles, passando per gli esperimenti di rigenerazione urbana a Barcellona, fino alle Case di Quartiere a Torino e ai Patti di collaborazione a Bologna — le città stanno riscoprendo il valore sociale, ambientale e culturale dei quartieri periferici.
Milano, in particolare, ha visto negli ultimi anni crescere l’attenzione verso interventi capaci di rigenerare i quartieri non solo dal punto di vista urbanistico, ma anche e soprattutto sotto il profilo delle connessioni sociali. Dalla riqualificazione del quartiere Adriano attraverso il progetto “Adriano Community Center”, al lavoro di rete portato avanti nel quartiere Giambellino-Lorenteggio, al quartiere Corvetto con le iniziative legate al programma Lacittàintorno della Fondazione Cariplo, le esperienze si moltiplicano. E mostrano che la trasformazione della città passa anche – e forse soprattutto – da qui: da quei pezzi di territorio spesso considerati residuali, ma in realtà centrali per costruire una metropoli più inclusiva.
Ė il modello della città dei 15 minuti, che punta alla diffusione di servizi, cultura e occasioni di aggregazione su tutto il tessuto urbano, non solo nelle zone centrali, promuovendo nel contempo una mobilità sostenibile.
È in questo scenario che si inserisce il lavoro avviato da Gruppo CAP alla Barona, quartiere storico della zona sud-ovest di Milano. Qui, a partire dalla realizzazione della nuova sede aziendale in via Rimini, è nato il “Progetto Quartiere”: un percorso che ha intrecciato architettura e partecipazione, infrastrutture e cultura, con l’obiettivo di generare impatto positivo e costruire legami duraturi con chi il quartiere lo vive ogni giorno.
Il progetto nasce nel 2019, quando Gruppo CAP annuncia l’intenzione di trasferire la propria sede nella zona di via Rimini. Ma sin da subito, la direzione è chiara: non si tratta solo di edificare una struttura funzionale, ma di creare un luogo in grado di dialogare con il contesto, restituire valore al territorio e stimolare la partecipazione.
«Non volevamo che la nostra nuova sede fosse solo “bella” o sostenibile sul piano energetico», racconta Matteo Colle, Direttore relazioni esterne e sostenibilità di Gruppo CAP. «Volevamo che fosse utile, aperta, permeabile. Un pezzo vivo del quartiere, non un corpo estraneo».
Ed è così che, accanto al progetto architettonico, si sviluppa una strategia di stakeholder engagement che coinvolge abitanti, associazioni, cooperative, esercenti, istituzioni locali. Il risultato è un approccio articolato, che integra co-progettazione, eventi, mappature sociali, ascolto attivo.
Nel corso degli anni, il Progetto Quartiere ha dato vita a una serie di iniziative pubbliche e culturali capaci di stimolare il dialogo. Tour urbani, laboratori di ascolto, convegni: occasioni preziose per raccogliere bisogni, raccontare visioni, costruire legami.
Uno dei momenti più significativi è stato il coinvolgimento nel festival Super – Il Festival delle Periferie, in collaborazione con l’associazione Dynamoscopio. Oppure l’organizzazione del convegno Frammenti d’identità, promosso con l’Ordine degli Architetti di Milano, in cui la Barona è stata raccontata come spazio di margine e insieme di sperimentazione.
Importante anche il progetto multimediale Milano Unplugged. Inchiesta di una generazione, realizzato con la Fondazione Feltrinelli, che ha coinvolto giovani reporter per raccontare le periferie milanesi attraverso inchieste e documentari, dando voce anche al quartiere Barona.
La nuova sede di Gruppo CAP, progettata dallo Studio Claudio Lucchin e Associati e inaugurata nel 2022, è oggi uno spazio polifunzionale, accessibile, trasparente. L’edificio accoglie una caffetteria aperta al pubblico, un auditorium, un asilo nido e una grande piazza, pensata per essere luogo di aggregazione e confronto.
«Abbiamo voluto eliminare ogni barriera fisica e simbolica tra il nostro lavoro e la città», spiega Colle. «Per noi, essere impresa pubblica significa anche essere presenti, visibili, disponibili. Siamo parte della comunità».
Un approccio che non si limita alla comunicazione, ma si traduce in pratiche concrete. La sede, ad esempio, è completamente autosufficiente dal punto di vista energetico, grazie a fonti rinnovabili. Il verde urbano è stato integrato nel progetto in modo funzionale, contribuendo al raffrescamento e alla qualità dell’aria.
A guidare questo processo, un team multidisciplinare con l’obiettivo di restituire al quartiere parte dello spazio urbano attraverso nuove funzioni condivise: un patto di collaborazione con il Comune di Milano e una rete di realtà locali, un progetto culturale in evoluzione.
«Per noi, è stata una bella sorpresa», racconta Francesca Loffredo dell’associazione La Cordata, attiva in zona. «Non è frequente che una grande azienda arrivi in un quartiere popolare e chieda: “Cosa possiamo fare insieme?”. Si è creato un clima di fiducia che continua ancora oggi».
Lo dimostrano iniziative come il festival WASQ, organizzato insieme a Legambiente, Teatro Menotti e Arca Milano, che ha portato in Barona musica, spettacoli e incontri pubblici, dando voce a chi vive quotidianamente il territorio.
Oggi il Progetto Quartiere è citato tra le buone pratiche di stakeholder engagement a livello nazionale e internazionale. La sua forza sta nella semplicità: partire da un bisogno concreto (costruire una sede), trasformarlo in un’occasione di ascolto e usarlo per costruire fiducia.
È un modello che potrebbe essere replicato in altri quartieri, con altri interlocutori, ma con la stessa logica: non parlare sopra le comunità, ma con le comunità.
A volte, per fare vera sostenibilità, basta cambiare punto di vista. Guardare un quartiere non dall’alto dei rendering, ma dal basso delle relazioni. Il Progetto Quartiere mostra che l’innovazione urbana non si misura solo in metri quadrati, ma in qualità delle connessioni. Quelle tra impresa e cittadini, tra progetto e vissuto. E l’acqua, come sempre, scorre dove trova spazio.
Architetta e urbanista, Federica Verona è consigliera di Amministrazione del Consorzio Cooperative Lavoratori, presidente dell’Aps NoiCoop e ha fondato “Super – il Festival delle Periferie”. Da anni lavora tra ricerca, progettazione partecipata e rigenerazione urbana. È stata coinvolta nel progetto “Quartiere” per accompagnare la realizzazione della nuova sede di Gruppo CAP nella zona Barona. In questa intervista racconta visione, metodo e tappe del percorso.
Sono stata coinvolta da Gruppo CAP per accompagnare l’inserimento della nuova sede nel quartiere Barona. L’obiettivo era duplice: da un lato, sviluppare azioni che legassero la sede al contesto sociale; dall’altro, intercettare soggetti attivi sul territorio e stimolare nuove progettualità. Abbiamo iniziato a lavorare nel 2020, in piena pandemia; quindi, molte attività si sono svolte all’aperto o in forma ibrida.
Abbiamo iniziato con una mappatura del quartiere e l’organizzazione di tour urbani, sulla scia dell’esperienza di “Super”, per far emergere realtà, reti e progetti già attivi nel territorio. Non ci siamo fermati alla Barona, ma abbiamo allargato lo sguardo al quadrante sud-ovest della città, per cogliere visioni più ampie e rafforzare il senso di rete. I tour sono stati un primo passo per costruire relazioni e definire il perimetro dell’intervento culturale.
Sì, con NABA abbiamo lanciato un hackathon per ripensare l’area antistante la nuova sede. I giovani designer hanno lavorato su idee di rigenerazione dello spazio pubblico, partendo da un parcheggio. Con Shareradio invece abbiamo attivato un percorso partecipato: dieci puntate radiofoniche per raccontare le storie del quartiere, intercettando anche quelle voci che non eravamo riusciti a coinvolgere nei tour. È stato un modo diverso di fare mappatura, più narrativo e meno cartografico. Infine abbiamo organizzato dei workshop territoriali con vicini di casa, associazioni e realtà della zona per pensare ad una serie di attività per la Piazza della sede.
Il “Cantiere Scuola” nasce da una sollecitazione del Municipio 6: una scuola abbandonata, nel cuore del quartiere, tra le case popolari. Insieme all’artista Roberto Coda Zabetta e al fotografo Henrik Bloomqvist abbiamo deciso di trasformarla in un’opera d’arte effimera, utilizzando vernici speciali per bonificarla dall’amianto e dipingerla di bronzo. È stato un gesto forte, simbolico, ma anche ecologico, per restituire dignità a uno spazio ferito, ma ancora carico di memoria per le persone che abitano lì accanto. Per realizzarlo abbiamo firmato un Patto di collaborazione con il Comune di Milano, CCL, Romeo Safety, Negro Servizi, Pcm studio. Con questa operazione siamo riusciti a portare l’arte dove di solito non entra mai, tra le case popolari.
La fiducia di Gruppo CAP e la volontà di non calare un progetto dall’alto. Si è lavorato in ascolto, cercando di costruire senso e relazioni. E poi la disponibilità a sperimentare: invece di limitarsi a eventi o attività temporanee, si è deciso di lasciare delle tracce, di creare dispositivi che potessero continuare anche dopo. Questo ha dato profondità al percorso.
Assolutamente sì, se si parte con l’idea di costruire legami veri con i territori. Bisogna superare la logica della partecipazione formale e pensare a come generare alleanze. In questo caso, Gruppo CAP non ha solo costruito un edificio: ha scelto di entrare in relazione con il quartiere. E questo fa tutta la differenza.